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Protezione Civile

Indice:

Introduzione
1. 
Che cos’è la Protezione Civile?
2. Un pò di Storia.
3. Il Servizio Nazionale della Protezione Civile.
4. Da cosa dobbiamo difenderci?
5. Come ci difendiamo dai Rischi?
6. I Comportamenti in Emergenza.

Introduzione

La protezione civile, con le sue attività di previsione, prevenzione e soccorso, è una delle declinazioni pratiche del concetto di difesa non armata e nonviolenta della Patria. Essa racchiude un insieme di concetti, informazioni e comportamenti indispensabili in un’ottica di cittadinanza attiva ed autoprotezione.  

In queste pagine si introduce il lettore al Sistema Nazionale di Protezione Civile, inteso come insieme di attività legate alla prevenzione dei rischi, alla consapevolezza del rischio come fattore presente nelle attività quotidiane, calcolabile e gestibile, all’autoprotezione e al comportamento da tenere in emergenza e si vuole evidenziare come il concetto più ampio di “protezione civile” sia da considerarsi tra i temi della formazione alla cittadinanza attiva, in quanto coinvolge strettamente cittadini, istituzioni, società civile in un intreccio che si esplica non solo durante una emergenza, ma soprattutto in “tempo di pace”, in ambito di previsione e prevenzione. 

Normativa

1. Che cos’è la Protezione Civile?

Tutti noi abbiamo in mente le immagini catastrofiche di eventi che potrebbero abbattersi o si sono abbattuti su città, uomini e territori.
Che si tratti di eventi mitologici o di fantasia, magari ripresi dalla cinematografia, o degli eventi purtroppo reali, come per esempio i terremoti a Lisbona e Messina, in Irpinia, a L’Aquila, in Emilia, lo Tsunami del sud-est asiatico, l’uragano a New Orleans, è purtroppo indubbio che l’uomo da sempre deve fare i conti con possibili eventi disastrosi suscettibili di mettere a repentaglio la vita delle sue comunità e l’integrità dei suoi beni.

Questo è tanto più vero in quanto il nostro è un pianeta vivo e attivo
, con proprie dinamiche e fenomeni che non tengono conto, nel proprio esplicarsi, di quella sottile ed insignificante ragnatela di attività e strutture intessuta su di esso agli esseri viventi, in particolare dall’uomo.
Inoltre, quanto più la popolazione umana cresce ed estende le proprie attività, città ed infrastrutture sul territorio, tanto più si espone a essere bersaglio di tali eventi, una volta rari e circoscritti.
Questa estensione, cresciuta esponenzialmente negli ultimi secoli, in maniera spesso non governata e incontrollata, ha portato verso patologie dell’attività umana come, per fare alcuni esempi, i cambiamenti climatici e la desertificazione.
La necessità di difendere le nostre attività è quindi cresciuta notevolmente
.
E’ per questo che le attività di protezione civile, intese come quell’insieme di attività volte alla tutela della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’integrità dell’ambiente e del territorio (Art.1 Legge 225/92) 
sono sempre state molto sentite in Italia, anche prima della loro attuale definizione e riconoscimento.

2. Un pò di Storia.

La necessità di provvedere alla difesa delle popolazioni e del territorio in caso di emergenza è sempre esistita. A titolo di esempio ricordiamo che già nel 1287 a Ferrara ogni capofamiglia aveva l’obbligo di tenere pronti vari attrezzi per fronteggiare la rottura degli argini del Po; a Istanbul durante il XVI secolo, si ordinava che in ogni casa vi dovesse essere sempre pronta una scala e un secchio di acqua per estinguere principi di incendio.

Nell’Italia preunitaria la legislazione in materia di protezione dai rischi derivanti da eventi calamitosi possedeva un carattere contingente ed emergenziale. Consisteva sempre, in effetti, in provvedimenti a favore dei sinistrati e direttive indirizzate a vari enti. Così sarà anche dopo il 1861 nell’Italia liberale.

Nel 1926, con il R.D.L. n. 2389, si tenta di delineare una struttura “permanente” per il soccorso alle popolazioni, la cui competenza viene affidata al Ministero dei Lavori Pubblici. Si prevede inoltre la nomina di un Commissario governativo per la direzione di tutti i servizi e un embrione di piano di protezione civile, in cui i Comuni elencano le risorse in loro possesso (ospedali, magazzini, depositi di carburante, ecc).

Fra il 1935 e il 1961 si ha la strutturazione su base nazionale dei servizi antincendio e l’attribuzione al Ministero dell’Interno dei servizi per la incolumità delle persone e dei beni e dei servizi per l’addestramento delle unità preposte al soccorso.
A tutto ciò davano stimolo l’alluvione del Polesine
 (1951 – 84 morti e 180.000 sfollati) e lacatastrofe del Vajont (1963 – 1.918 morti), che sottolineavano l’esigenza di disporre di strutture e mezzi per il soccorso. 

 Ma le catastrofi continuano ad abbattersi sul territorio italiano.
Il 4 novembre del 1966 dopo tre giorni di piogge incessanti, su Firenze erano caduti in tutto 250 milioni di metri cubi d’acqua, di cui oltre metà provenienti dal solo corso dell’Arno.
Relativamente poche le vittime per un disastro che poteva essere ben peggiore: 34 in tutto.
Scolpite nella memoria saranno invece le perdite del patrimonio artistico e culturale: migliaia di volumi mangiati dall’acqua e persi nel fango, manoscritti, rarissime opere di stampa. Tanto più che la maggior parte delle opere era ancora conservata negli scantinati per salvarle dai bombardamenti dell’ultima guerra.
Il Crocifisso del Cimabue, una delle più importanti opere pittoriche di tutti i tempi, sarà perduto per l’80%, nonostante i restauri. 
E nella memoria restano anche gli angeli del fango: migliaia di giovani volontari giunsero nella città toscana per aiutare le popolazioni colpite e recuperare, salvandone le opere d’arte, dipinti, statue, libri antichi, manufatti, patrimoni dell’umanità, che altrimenti sarebbero andati perduti.  

E poi ancora torna a tremare la terra, questa volta in Sicilia, nella valle del Belice (1968 370 morti, 1.000 feriti e 70.000 sfollati). 
Negli anni post terremoto il famoso intellettuale, sociologo ed educatore Danilo Dolci, che dagli anni ‘50 portava avanti le lotte a favore della popolazione siciliana e contro il malaffare politicomafioso, denunciava l’immobilità delle istituzioni nel percorso di ricostruzione. Famose restano le frasi che fece scrivere sui ruderi dei paesini distrutti per sensibilizzare l’opinione pubblica “La burocrazia uccide più del terremoto”, “Qui la gente è stata uccisa nelle fragili case e da chi le ha impedito di riappropriarsi della vita col lavoro”, “Governanti burocrati: si è assassini anche facendo marcire i progetti nei cassetti”.  

Finalmente nel dicembre del 1970 viene varata la legge 996 Norme sul soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite da calamità – Protezione Civile”.
Ma diventerà operativa solo dopo undici anni, cioè dopo due nuove tragedie: il terremoto in Friuli(1976 – 989 morti e 100.000 sfollati) e il terremoto in Irpinia (1980 2.914 morti, 8.848 feriti e 280.000 sfollati). Viene così promulgato il DPR n. 66/1981, cioè il regolamento che rende possibile l’applicazione della Legge 996/70, a seguito della vibrante protesta del Presidente della Repubblica,Sandro Pertini in visita sui luoghi colpiti dal terremoto dell’Irpinia.
Dopo quella visita Pertini fece un discorso pubblico nell’edizione straordinaria del TG2 dichiarando la gravità della situazione e soprattutto la mancanza dei soccorsi: “Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi”.
Celebre è la prima pagina de Il Mattino, che titola FATE PRESTO.
A tre giorni dall’evento non tutti i comuni erano stati raggiunti dai soccorsi e ancora molte persone erano sotto le macerie.

Un evento che ha contribuito alla nascita del Sistema di Protezione Civile così come lo conosciamo oggi è l’incidente di Vermicino in cui perse la vita nel 1981 Alfredino Rampi, caduto in un pozzo artesiano.
Dopo quasi tre giorni di tentativi falliti di salvataggio, Alfredino morì dentro il pozzo ad una profondità di circa 60 metri.
La vicenda ebbe grande risalto sulla stampa e nell’opinione pubblica italiana, in special modo grazie alla diretta televisiva della RAI durante le ultime 18 ore del caso. 
Nel giro di pochi minuti i soccorritori si radunarono all’imboccatora del pozzo, ma le operazioni si rivelarono subito estremamente difficili: la voragine presentava un’imboccatura di 28 cm, una profondità complessiva di 80metri e pareti irregolari. Non essendo possibile calare una persona direttamente, si pensò di scavare un tunnel parallelo ma dopo 60 ore ininterrotte nessun tentativo di salvataggio andò a buon fine. La vicenda dimostrò come i soccorsi non erano preparati, non c’erano le attrezzature adatte disponibili subito e non c’erano dei coordinatori in grado di gestire l’emergenza.

Si tratta comunque di anni caratterizzati da confusione e incoerenza normativa.
In quegli anni nasce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Dipartimento Nazionale della Protezione Civile (DPC) che però si sovrappone alla Direzione Generale della Protezione Civile e dei Servizi Antincendio del Ministero dell’Interno.
Occorrerà attendere altri undici anni affinché entri in vigore la Legge 225 del 24 febbraio 1992 “Istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile”, ancora vigente.
Seguono strumenti normativi che regolamentano altri aspetti, quali quelli concernenti la partecipazione della associazioni di volontariato, non più dei singoli volontari iscritti in appositi registri presso le Prefetture (DL 613/94 e DL 194/01) e la stesura di piani di protezione civile secondo il metodo Augustus (Direttiva DPC dicembre 1996, e Manuale Operativo DPC 2007).

3. Sistema Nazionale della Protezione Civile

La risposta alle esigenze avanti espresse si traduce, dopo l’iter storico-normativo illustrato, nella istituzione del Servizio Nazionale di Protezione Civile, con la Legge 225/92. Questa legge struttura tale Servizio, che è un sistema particolare rispetto ad altre nazioni, ma la cui validità è stata testata e confermata negli anni, sul campo.  

Quali sono i punti salienti della L.225/92? 

 

  • L’istituzione del Servizio Nazionale di Protezione Civile; la definizione delle sue finalità nei termini di tutela della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’integrità dell’ambiente e del territorio; la definizione del campo di applicazione: “danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi o da altri eventi calamitosi”.  

  • Il coordinamento da parte del Presidente del Consiglio (o di un suo Delegato) di tutte le amministrazioni statali, degli enti locali e di ogni istituzione e organizzazione pubblica o privata presente sul territorio nazionale, coordinamento particolarmente utile per evitare contrasti e sovrapposizioni di poteri. 

  • La Dichiarazione dello Stato di Emergenza (DSE), deliberata dal Consiglio dei Ministri su proposta del Presidente del Consiglio e del Capo Dipartimento della Protezione Civile. Essa, potendo utilizzare ordinanze in deroga a ogni norma vigente, ma nel rispetto dei principi del diritto, è uno strumento agile e idoneo a gestire la molteplicità di problemi che qualunque emergenza genera, a differenza dello strumento del Decreto d’urgenza. Ovviamente la delicatezza dell’uso della DSE (e della DSC, Dichiarazione Stato di Calamità, di competenza del Presidente della Regione), deve prevedere la durata e l’estensione territoriale dell’emergenza stessa. In caso contrario potrebbe essere messo a repentaglio lo stesso stato di diritto, con un uso deviato di tali strumenti, che consentono limitazioni momentanee e circoscritte alle libertà civili.  

  • Gli eventi calamitosi vengono classificati in:

a) fronteggiabili in via ordinaria dalla amministrazione competente (livello comunale);
b)
 fronteggiabili in via ordinaria da più amministrazioni competenti (livello provinciale/regionale);
c)
 fronteggiabili con mezzi e poteri straordinari (livello nazionale).

  • Si esplicita inoltre che tali attività non sono di carattere esclusivamente emergenziale, come era stato sino ad allora, ma che prevedono previsione, prevenzione, emergenze e postemergenza. Debbono inoltre armonizzarsi con i programmi di tutela e risanamento ambientale.  

  • Si prevedono poi le Strutture che fanno parte della protezione civile, nonché le Competenze nella organizzazione e responsabilitàdell’attuazione delle attività, nella stesura dei piani nazionali, regionali, provinciali e comunali di protezione civile. Si comprende infatti come il Servizio Nazionale di Protezione Civile sia definito come un sistema a rete, nel quale concorrono all’attività non solo le strutture operative come Vigili del Fuoco, Forze armate, Polizia, Corpo Forestale, Servizi Tecnici, CNR, Università, Servizio Sanitario Nazionale, Croce Rossa, Associazioni di Volontariato e Ordini professionali, ma anche le competenze istituzionali, come Regioni, Province, Prefetture, Comuni, Comunità Montane e Autorità di Bacino. 

  • Importantissima è la sottolineatura riservata al volontariato. Essa deriva da una battaglia che, a metà degli anni ‘80 si sviluppò sulla struttura che la protezione civile dovesse avere. Semplificando, si andava da posizioni che ne volevano fare una specie di corpo specializzato di struttura e organizzazione gerarchica “paramilitare”, nello stile statunitense della Guardia Nazionale, a posizioni che vedevano la protezione civile come parte importante del sistema di Difesa Popolare Nonviolenta, per cui una struttura che coinvolgesse i cittadini e le istituzioni tutte, in un interessante e forse unico modello di cittadinanza diffusa e partecipata. Posizione, questa, risultata poi vincente sia nella norma che sul campo.   

  • Un capitolo a parte merita, data l’importanza del Comune nell’ossatura della pubblica amministrazione italiana, la figura del Sindaco. Egli, in quanto prima autorità locale di protezione civile, ha l’onere di provvedere, nei limiti delle sue possibilità, agli interventi di soccorso ed assistenza alla popolazione.  


La successiva riforma Bassanini
 (DL 112/98) ha ridefinito le competenze dei vari enti locali e pubbliche amministrazioni.
Focalizzandoci sui comuni 
ricordiamo che essi sono chiamati all’attuazione delle attività di previsione e agli interventi di prevenzione dei rischi, alla predisposizione dei piani di emergenza (anche in forma associata e integrata), alla predisposizione dei provvedimenti per assicurare il primo soccorso, a prestarlo, e attuare i primi interventi urgenti in caso di emergenza, anche tramite le strutture locali di protezione civile, e all’utilizzo del volontariato di protezione civile.

Nel 2012, viene modificata in parte la Legge 225. Ancora una volta sotto la spinta degli eventi. Da una parte l’abuso della legislazione d’urgenza per la gestione dei grandi eventi, che dalla legge 100 vengono finalmente eliminati dalle competenze della protezione civile.
Dall’altra i danni e le vittime degli eventi calamitosi, frane, alluvioni e terremoti, che si sono abbattuti sul nostro territorio negli ultimi vent’anni, hanno portato alla necessità di ristrutturare il Sistema Nazionale di Protezione Civile. 

 

    

4. Da cosa dobbiamo difenderci?

Veniamo al dunque. A cosa serve, in dettaglio, tutto questo meccanismo? Da cosa dobbiamo difendere le persone, i beni, le strutture? Dai rischi, ovviamente! Dal rischio di eventi catastrofici che possano severamente colpire la comunità.
Ma come possiamo considerare quali, quanti e di che entità possono essere gli eventi supposti? È più pericoloso un terremoto del 5° grado della scala Richter a Roma o una esplosione termonucleare nel deserto del New Mexico? È meglio difendersi da possibili epidemie a scala globale con apposite profilassi o concentrarsi su un faraonico Scudo Stellare per difenderci da giganteschi meteoriti che attendono il momento giusto per colpirci nascosti nella Nube di Oort?  

Non sappiamo quale sia la soluzione, ma un ottimo approccio è quello di darsi degli strumenti per considerare in maniera scientifica e analitica il Fattore Rischio, sì da quantificarloparametrizzarlo renderlo comparabile tra eventi dello stesso tipo e di tipo diverso, per capire da cosa guardarsi principalmente e come spendere oculatamente le risorse dei contribuenti.

E allora, cerchiamo di dare una definizione di Rischio che sia nel contempo scientifica e comprensibile.

Ad esempio: qual è il rischio connesso a una esondazione del Nilo in pieno Sahara sudanese e una presso Khartoum? Già qui le cose iniziano a chiarirsi. Infatti stiamo parlando dello stesso fiume, nella stessa area, con la stessa probabilità statistica di esondare; ma appare intuitivo che il rischio sia maggiore laddove vi sia una area densamente popolata come Khartoum. 

Allora è chiaro che il Rischio non è la probabilità che accada un evento, pressoché uguale nelle due aree, ma tale probabilità connessa al danno che, in caso accada l’evento, può portare al territorio e alle comunità interessate.  

Definendo le cose in maniera analitica, possiamo dire che il Rischio è il prodotto della Probabilità che un evento accada per il Danno che può apportare.

R = P x D = P x E x V 

R = Rischio
P = Probabilità 
che accada un possibile evento in una data area, in un certo lasso di tempo (compresa tra zero ed uno).
D = Danno
. Esso risulta dalla somma delle perdite relative a manufatti, infrastrutture, perdite di funzionalità, vittime, feriti. 

Il Danno è a sua volta scomponibile in:

D = E x V

E = Esposizione, Elementi a rischio, inteso come numero o insieme di essi.  
V = Vulnerabilità
, cioè capacità di resistere all’evento, di un dato elemento che può essere esposto a rischio (che va da zero ad uno).

In generale quindi il Fattore Rischio è calcolabile e ci suggerisce che faremmo meglio a tenerne conto in “tempi di pace”, quando cioè l’evento non si è ancora verificato.
Questo è ancora più vero se si tratta di eventi naturali come terremoti, esondazioni, eruzioni, cioè fenomeni che non possiamo evitare e spesso addirittura neanche prevedere
 (si pensi ai terremoti).
Quello che invece possiamo e dovremmo fare con maggiore incisività
 è la prevenzione dei rischi, lavorando sull’abbassamento della soglia di visibilità del rischio stesso, optando così per un approccio non fatalista, ma razionale che punti a limitare i danni. 

Si prenda ad esempio il rischio sismico. Il sito del Dipartimento di Protezione Civile ci dice che “l’Italia ha una pericolosità sismica medio-alta (per frequenza e intensità dei fenomeni), una vulnerabilità molto elevata (per fragilità del patrimonio edilizio, infrastrutturale, industriale, produttivo e dei servizi) e un’esposizione altissima (per densità abitativa e presenza di un patrimonio storico, artistico e monumentale unico al mondo). La nostra penisola è dunque ad elevato rischio sismico, in termini di vittime, danni alle costruzioni e costi diretti e indiretti attesi a seguito di un terremoto.

Sembra che ci si accorga di questo rischio, a livello di opinione pubblica, soltanto nel momento delle lacrime e del panico, della conta delle vittime, dei feriti e degli edifici distrutti. Dopo l’evento.
Allora sembra a tutti noi che il terremoto sia stato catastrofico, distruttivo, quasi ci fosse una sorta di infausto e ineluttabile destino che ha travolto comunità e luoghi in modo del tutto casuale e imprevedibile.
In verità il terremoto non è né buono né cattivo, è un evento naturale col quale le comunità e le attività umane dovrebbero imparare a convivere, preparandosi all’evento per poter limitare o addirittura annullare i danni futuri. Citando “Sangue e cemento”, un docufilm sul terremoto del 2009 a L’Aquila, “Non esistono catastrofi naturali, ma solo catastrofi umane”.   

A questo punto, chiarito il concetto di rischio, cerchiamo di capire quali tipologie di rischio sono presenti sul nostro territorio e come possiamo difenderci da essi, il tutto premettendo che non affronteremo qui una trattazione tecnica di tali tipologie, né quali ne siano le cause, rimandando agli interessi personali e a fonti specifiche per maggiori approfondimenti. [Per approfondimento visita la sezione Conoscere il Territorio]

Innanzitutto i rischi possono essere divisi in categorie in base alle cause predisponenti: 

 

  • rischi naturali, connessi a fenomeni naturali quali sismi, eruzioni vulcaniche, alluvioni, frane, valanghe, incendi boschivi, uragani, tsunami, condizioni meteorologiche estreme;

  • rischi antropici, connessi ad anomalie e malfunzionamenti di strutture e sistemi creati dall’uomo, quali incidenti in centrali nucleari, fabbriche chimiche, crolli di dighe ed edifici, trasporti;

  • rischi sociologici, connessi alla azione consapevole dell’uomo o alla sua presenza in massa in alcuni luoghi e condizioni, quali guerre, epidemie, sommovimenti politici, attentati, concentrazioni di masse di persone per eventi particolari. 


Definiti dunque i tipi di rischio possibili, possiamo passare agli strumenti di difesa, che vengono sostanzialmente raggruppati e organizzati nei piani di protezione civile.

5. Come ci difendiamo dai rischi?

Lo strumento con cui le comunità possono organizzare la propria protezione dai rischi sinora trattati è quello dei “piani di protezione civile”. Originariamente, secondo il metodo Mercurio, erano organizzati come un elenco di mezzi, uomini e materiali a disposizione e di aree adibite alla ubicazione della popolazione colpita e dei soccorritori.
Dal 1996 sono stati codificati secondo il metodo Augustus
, caratterizzato da semplicità, flessibilità e rapidità di intervento.

A seconda degli scenari prevedibili, cioè la descrizione dei danni che possono colpire gli elementi a rischio, essi si dividono in:

  • piani nazionali – prefigurano scenari gravissimi, affrontabili solo con strumenti straordinari, e affidati alla competenza del Dipartimento di Protezione Civile (per esempio una eruzione del Vesuvio)

  • piani regionali

  • piani provinciali

  • piani comunali


I piani di protezione civile sono in generale costruiti secondo la logica progettuale
: contesto, obiettivi, azioni.
Il contesto è definito Parte Generale. Raccoglie tutti i dati di base (cartografici, demografici ecc.) utili a costruire gli scenari di rischio predetti. Gli obiettivi, definiti Lineamenti della Pianificazione, sono la salvaguardia della popolazione, del sistema produttivo, della viabilità, della continuità amministrativa, del coordinamento dei soccorsi.
Le azioni, Modello di intervento, sono quelle che si portano avanti per ottenere tali obiettivi. Innanzitutto si tratta di azioni che si esplicano negli ambiti di Previsione, Prevenzione, Emergenza e Post Emergenza
, per cui ben prima che l’evento sia accaduto.  

Per questo si ha una struttura che prevede una serie di coordinamenti a vario livello 
che, in “ tempo di pace”, aggiornano e mantengono attivo, anche tramite esercitazioni, il piano di protezione civile, e si attivano in emergenza per portare soccorso ai soggetti colpiti.

Nello specifico la struttura operativa del sistema di protezione civile prevede i seguenti centri di coordinamento:

  • C.O.C. – centro operativo comunale, si occupa delle attività di protezione civile nelle varie fasi; 

  • C.O.M. – centro operativo misto, raggruppa più C.O.C. afferenti a comuni esposti a simili rischi o limitrofi; 

  • C.C.S. – centro coordinamento soccorsi, livello provinciale/prefettura;

  • S.O.R. – sala operativa regionale, livello regionale;

  • DI.CO.MAC. – direzione comando e controllo, livello nazionale. 


Prendendo ad esempio il Cento Operativo Comunale
, per la maggior vicinanza alle dinamiche del territorio e la semplicità di esposizione, esso risulta strutturato in nove funzioni, con un responsabile e un vice, preposti a occuparsi di quella certa funzione in tempo di pace e di emergenza.
Esse sono:

  • f1 – tecnica e pianificazione

  • f2  sanità, assistenza sociale e veterinaria

  • f3 – volontariato

  • f4  materiali e mezzi

  • f5 – servizi essenziali e scuola

  • f6 – censimento danni

  • f7 – viabilità, vigili del fuoco, vigili urbani…

  • f8  telecomunicazioni

  • f9 – assistenza alla popolazione 


In caso di evento calamitoso, i responsabili delle funzioni e il Sindaco si riuniscono presso una struttura predeterminata e al sicuro dai possibili rischi presenti, ove è ubicato il C.O.C., e operano per portare avanti la gestione dell’emergenza, comunicando alla popolazione le decisioni e i comportamenti da tenere, le aree di prima emergenza in cui rifugiarsi (aree di attesa
), le aree in cui soggiornare e trovare copertura logistica per tempi più lunghi (aree di ricovero), e ai coordinamenti superiori le necessità e le operazioni effettuate.  

A titolo di esempio 
riportiamo di seguito le attivazioni comunali in caso di evento sismico.
Il Sindaco deve effettuare immediatamente le seguenti operazioni:

  • attivare il C.O.C. nella sede individuata preventivamente anche in strutture che ordinariamente sono adibite ad altre attività (palestre, scuole, etc..) purché antisismiche;

  • disporre l’utilizzo delle aree di emergenza preventivamente individuate;

  • informare continuamente la popolazione nelle aree di attesa;

  • predisporre la perimetrazione delle zone con edifici pericolanti e l’invio di squadre tecniche per le prime verifiche di agibilità;

  • predisporre la riattivazione della viabilità principale con la segnalazione di percorsi alternativi;

  • predisporre l’assistenza sanitaria ai feriti e l’assistenza alla popolazione confluita nelle aree di attesa;

  • predisporre l’allestimento di tendopoli e/o roulottopoli nelle aree di ricovero per ospitare i senzatetto. 


E’ dunque estremamente importante per tutti i cittadini conoscere il Piano di Protezione Civile del prioprio comune.
Cercalo sul sito del tuo comune o contatta i funzionari comunali per avere delle indicazioni a riguardo. 
Se il tuo comune non ha ancora predisposto il Piano di Protezione Civile o non lo ha ancora pubblicato, ricordagli che sono obbligati per legge a redigere il piano e a diffonderlo il più possibile alla popolazione!

Controlla il Piano di Protezione Civile del Comune di Gubbio: 

6. I Comportamenti in Emergenza

Uno dei punti fondamentali nella riuscita di corrette politiche di prevenzione in protezione civile risulta essere la capacità delle istituzioni di divulgare, far comprendere e allenare i cittadini a tutta una serie di corretti comportamenti da tenere prima, durante e dopo un evento potenzialmente dannoso.
Acquisire questi comportamenti porta a una notevole riduzione del danno.
Un piano di protezione civile, in “tempo di pace” ha, tra gli altri, il compito di propugnare tali comportamenti. Si ritiene qui utile e necessario suggerire dove reperire tali informazioni, ad esempio sul sito ufficiale del Dipartimento di Protezione Civile www.protezionecivile.gov.it.  

Testi tratti ed integrati dalla pubblicazione
perCorsi di cittadinanza attiva e di formazione
di T. Martino – A. Morinelli – A.P. Pati.